Nello scorso fine settimana siamo stati al Centro Olimpico Federale di Ostia per la formazione annuale prevista a livello nazionale per i tecnici del settore Aikido della FIJLKAM.
Che cosa si intende per formazione, quando si parla di insegnanti di Aikido e, in generale, di Arti Marziali?
Per tradizione e abitudine, il mondo delle discipline marziali ha solitamente fatto coincidere l’idea di stage con il concetto di formazione. Si va da questo o quell’insegnante, si pratica un certo numero di ore al giorno lungo un fine settimana o, nel caso dei seminar intensivi, per più giorni e, in qualche modo, tutto finisce lì.
Torni alla tua realtà di tutti i giorni e, se quello che hai visto nella pratica ti riesce a ispirare qualcosa di nuovo e utile per il gruppo di cui sei responsabile, bene. Sennò ti arrabatti come hai sempre fatto.
La formazione, a maggior ragione di un insegnante, è qualcosa di diverso. Non “di più” né “di meno”. Ma è qualcosa di diverso e, con i tempi che sono organici ai cambiamenti, in Federazione c’è questa consapevolezza.
Se guardiamo al mondo marziale di qualche decennio fa e lo confrontiamo con quello attuale, riscontriamo alcune similitudini ma anche tante differenze. Cambia la tipologia di utenza, cambia la scolarizzazione degli allievi, cambiano le esperienze professionalizzanti che le persone vivono nella vita e nel lavoro di tutti i giorni, cambiano le competenze che le persone sviluppano in modo autonomo al di fuori del Dojo e delle istituzioni.
E’ evidente che un insegnante di Arti Marziali può essere un plurilaureato che beneficia di corsi di comunicazione, leadership e gestione del gruppo in azienda e, nonostante questo, avere lacune tecniche marziali che ne limitano le capacità sviluppate altrove. A questo serve il lavoro sul tatami che pure è la base e il collante che tiene uniti tutti, perché gli insegnanti, prima di tutto, sono praticanti.
Ma è altrettanto evidente che in un contesto radicalmente evoluto rispetto a qualche anno fa, la formazione di un tecnico non possa avvenire solo sul tatami.
Se guardiamo al nostro percorso di qualifiche tecniche, possiamo dire che per diventare insegnanti abbiamo seguito corsi tenuti da professionisti del SUISM, docenti di Biologia, Medicina, preparatori delle nazionali, allenatori degli olimpionici, psicologi, specialisti della comunicazione e dell’area amministrativa…
E questo, insieme alla dimensione della pratica quotidiana, in cui migliorare e comprendere costantemente tecniche, principi, prospettive e finalità.
Esattamente come negli ordini professionali, la qualifica di insegnanti è vincolata ad aggiornamenti costanti, su base annuale, a livello regionale e nazionale.
Sulla base di questo, la Commissione Tecnica Nazionale del settore Aikido ha istituito a partire dall’anno scorso un evento obbligatorio al Centro Olimpico e, lentamente, sta spostando l’accento dalla pratica fine a se stessa tipica di ogni stage ad una modalità di formazione trasversale.
Questo nuovo assetto, nel volgere degli ultimi tempi, restituisce ai partecipanti formazione su temi eterogenei: primo soccorso, utilizzo (e certificazione) del defibrillatore, principi di nutrizione, supporto alla comprensione della riforma del settore sportivo, promozione degli eventi nei Comitati Regionali di appartenenza,…
I cambiamenti di rotta, nelle istituzioni, non sono mai immediati e, come tutti i cambiamenti, portano in zone che sono inesplorate per tutti, quantomeno in riferimento all’istituzione.
Perché un conto è che a livello personale il singolo insegnante sia abituato, magari anche per la propria realtà di pratica e non solo per motivi di lavoro, a ragionare in termini di formazione e comunicazione aziendale. Un altro è che un intero movimento, che fino a pochi anni fa erogava formazione attraverso un classico stage “tecnica e sudore”, cerchi di colmare il gap che si è creato tra ciò che nella società civile è ormai prassi e ciò che in Federazione (come altrove, del resto) per abitudine “si era sempre fatto così”. Fino a poco tempo fa, perlomeno.
E così, per noi come per tutti gli amici che si radunano da ogni parte di Italia, tornare al Centro Olimpico è un’esperienza simile a tornare a casa per le feste comandate.
Quei pranzi dove vedi certe persone soltanto lì. Dove magari c’è quel prozio un po’ strano che racconta barzellette che non fanno ridere e quel cugino che ti capisce più di qualsiasi altro.
Quelle feste lunghissime dove magari, complice il vino e l’ingolfata di lasagne della nonna, alcuni piantano anche una sonora litigata per motivi che nessuno comprende.
Quei pranzi che però ogni anno vedono sempre tutti intorno al tavolo perché, di fatto, al di là della vita che tutti facciamo nei nostri giorni, sentiamo un legame che ci unisce. Ci si vuole bene, insomma.
Per noi vivere il Centro Olimpico è un privilegio: si incrociano gli atleti che si preparano per i campionati europei, mondiali e per le olimpiadi e i professionisti che li seguono. Si imparano tantissime cose che si vivono e conoscono solo lì.
Si torna a casa esausti perché si vivono tre vite contemporaneamente: siamo allievi, siamo praticanti, siamo persone in formazione.
Quella formazione che è il ponte tra presente e futuro e senza la quale nessun passato, per quanto sia stato glorioso, può essere tramandato, attualizzato e reso vivo.